Il giorno in cui cambiai tutto, sbagliando tutto
Come ciò che ti umilia può diventare ciò che ti libera. Una lezione su fallimenti, derisione e riscatto.
Ehilà,
mi piacciono un sacco di storie. Mi piace trovarle, leggerle e rimanerne incantato. Ogni storia mi ha sempre insegnato qualcosa, a partire da quelle corte e brevi raccontate nei libri per bambini ( quante ne ho lette ai miei bimbi la sera! ).
Le storie mi ispirano, mi toccano nel profondo e mi aiutano a riflettere su me stesso.
Negli anni sono diventato un cercatore e un collezionatore di storie, sia per lavoro che per passione. Mi piace portarle con me sul palco e in quello che scrivo, mi piace raccontarle a tavola con gli amici o davanti ad un caffè. Ma la cosa più bella delle storie è quando ci trovo un tesoro dentro. Quando scorgo qualcosa di nuovo, un dettaglio inaspettato che non conosce nessuno e che dà un sapore completamente diverso alla narrazione.
L’ho chiamato il paradosso della gioconda, sono quelle storie che vanno oltre quello che sanno tutti, quelle che ti stupiscono con una prospettiva nuova e inconsueta.
Perché a volte, basta una storia raccontata in un modo diverso, per cambiare il modo in cui guardiamo noi stessi, il nostro percorso e i nostri errori.
E se anche a te, leggendo questa storia, è venuta voglia di guardare ai tuoi inciampi con occhi nuovi... allora forse, anche oggi, abbiamo trovato un piccolo tesoro.
Pronti? Vamos.
Dick non era un campione.
Non era un predestinato.
Non era neanche un atleta 'promettente'. Era un ragazzo che, semplicemente, non riusciva a vincere. Dick era un grande appassionato di salto in alto, quello sport era la sua vita.
Sfortunatamente gara dopo gara, salto dopo salto, il risultato era sempre lo stesso: fallimento.
Provava a saltare come gli altri, con la pancia in giù, come si faceva da sempre in questo sport ma non bastava. Non aveva grandi doti atletiche, il suo fisico era esile e l'asticella al momento di staccare da terra sembrava sempre troppo alta.
E il materasso sempre troppo lontano.
Dick alla fine capì che era un saltatore mediocre e non avrebbe avuto futuro.
Un giorno, per disperazione più che per calcolo, fece qualcosa di assurdo.
All’ennesima gara, all’ennesima rincorsa disperata, invece di saltare 'bene'… come facevano tutti gli altri, saltò a modo suo.
Scattò, corse una curva larga, e al momento decisivo ruotò il corpo all'indietro, saltando di schiena, atterrando goffamente sul materasso.
L'asticella era superata.
Il pubblico restò in silenzio.
Poi... risero.
I giudici si guardarono perplessi.
Gli allenatori scossero la testa.
I cronisti presero appunti tra le risate.
Lo chiamarono il pazzo che cade all'indietro.
"Guardate quel ragazzo!" dicevano. "È un disastro!" "Sembra aver inciampato!"
"Che FLOP!"
Sì, FLOP.
In inglese, 'flop' vuol dire fallimento.
Vuol dire disastro.
Un insulto mascherato da soprannome.
Infatti quel tipo di salto lo chiamarono proprio con il suo cognome, Fosbury Flop. Eppure, quel 'flop', quel fallimento, permise a Dick di volare più in alto di chiunque altro.
Aveva inventato, senza rendersene conto, il salto che avrebbe cambiato per sempre la storia dello sport. Perché mentre gli altri perfezionavano il vecchio modo di saltare, Dick aveva inventato il futuro.
Ma non dominò immediatamente. L'intuizione non bastava, gli allenamenti all'università dell'Oregon erano duri e continuavano sotto lo scherno dei suoi compagni.
Fosbury dovette lavorare duramente per perfezionare il metodo e raggiungere un risultato di alto livello.
Però Dick non si scusò. Non cambiò per piacere agli altri.
Continuò a saltare... a modo suo. Gara dopo gara.
Salto dopo salto.
E a ogni salto, quel 'flop' — quel fallimento — diventava qualcos'altro, diventava un volo.
Finché nel 1968, ai Giochi Olimpici di Città del Messico, il ragazzo sfigato del 'flop' saltò più in alto di tutti: vinse la medaglia d'oro e rimase nella storia.
Tutti da quel giorno in poi saltarono come Dick.
Molti citano sempre la storia di Fosbury come esempio di vita, e sempre allo stesso modo: "E’ un genio, ha trovato una soluzione diversa", "E' uno che ha pensato fuori dagli schemi!" "ah beh il pensiero laterale..".
Ma Dick non era un genio, non era nemmeno un creativo, aveva solo agito per disperazione. Perché aveva capito una cosa importante:
Non sono i tuoi fallimenti a decidere chi sei.
È come rispondi ai tuoi fallimenti che decide quanto in alto puoi volare.
Nonostante chi ride di te, nonostante chi ti dice che è tutto perduto. Che non hai chance, che non hai alternative, che sei un saltatore mediocre e che alla fine sei un uomo mediocre.
Ecco, lì hai una grande opportunità, fregartene, dare le spalle all'asticella e buttarti nel vuoto, di schiena, senza guardare.
Bam.
Non andare dove il sentiero ti può portare, vai dove invece il sentiero non c’è ancora e lascia dietro di te una traccia.
- Ralph Waldo Emerson
Quella di Dick sembra una storia a lieto fine no? Tutto sembrava pronto per la leggenda.
Il ragazzo che aveva cambiato il salto in alto avrebbe potuto dominare per anni.
Avrebbe potuto collezionare medaglie, record, gloria.
Il problema è che la vita non è film, non finisce sempre con l'happy end. Perché anche quello che hai costruito con il duro lavoro, e con tutto te stesso, può andarsene, zac, in un attimo.
Negli anni a venire Dick non migliorò più i suoi risultati. Era rimasto alla misura di 2,24 mentre i nuovi saltatori, che avevano adottato il suo stesso stile, cominciavano a superarlo, perfezionandolo ancora di più. La concorrenza era salita di livello e lui, che non era un "super atleta" nel senso fisico, faticava a tenere il passo.
Alla fine Dick abbandonò.
Dopo l’oro olimpico, non inseguì una carriera nello sport. Scelse di tornare a casa e riprendere gli studi.
Si laureò in ingegneria civile, costruì ponti, strade, edifici.
Ancora una volta ricostruì il proprio futuro, come aveva costruito il suo salto.
Perché la sua vittoria più grande non era stata vincere contro gli altri: era stato vincere contro i propri limiti, inventando un nuovo modo di essere se stesso.
E quando Dick atterrò dall'altra parte, con il suo "flop", aveva fatto molto di più che vincere una medaglia. Aveva dimostrato a sé stesso che ce la poteva fare.
Che poteva trasformare un fallimento in un riscatto personale.
Perché il vero salto di Dick Fosbury non fu solo sopra un'asticella.
E non fu nemmeno sopra le aspettative che il mondo aveva in lui.
Il salto di Fosbury era uno di quelli tosti.
Era il salto sopra le sue paure, sopra i suoi demoni, sopra tutti i suoi fallimenti.
È il salto che fai quando smetti di cercare l’approvazione e ti liberi dal giudizio degli altri.
E soprattutto, da quello più intransigente di tutti: il tuo.
Ma prendi la rincorsa.
Dai la schiena al vuoto.
Chiudi gli occhi.
E salti.
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Bellissima newsletter di Francesca Pinna sul valore degli incontri o dell'essere guidati da qualcuno
Non basta fermarsi per recuperare. Bisogna capire come farlo. Perché non sempre il problema è la stanchezza. A volte, la vera questione è che non sappiamo ricaricarci nel modo giusto.
La mia amica Rita Bellati ha scritto un bellissimo pezzo sulla differenza tra riposarsi e ricaricarsi. Sembrano concetti simili ma invece sono molto differenti. Ognuno si riposa e si ricarica in modo completamente diverso. Se anche nei momenti di riposo facciamo cose che ci “scaricano” saremo sempre più stanchi.
L’obiettivo è capire cosa ci ricarica. Non è uguale per tutti, ognuno ha il suo, bisogna solo scoprire qual è.
su “Per chi stai scrivendo?” che per me è estendibile anche a “Per chi stai costruendo la tua community?Per me il contenuto più giusto non è quello che funziona sempre per tutti, ma quello che fa dire a qualcuno:
«Questo è esattamente quello che mi serviva».
A volte è utile focalizzarci su un’unica persona o su un numero piccolissimo, che possono essere 2-3 persone che conosci bene.
Chiedi cosa vogliono sapere da te, dove vogliono che gli accompagni.
"Ma prendi la rincorsa.
Dai la schiena al vuoto.
Chiudi gli occhi.
E salti."
Grazie
Come iniziare la giornata con la giusta carica! Grazie Alessio