Storia di una community geniale e irriverente
Il genio solitario è una bella storia da raccontare, ma non è sempre vera
Ehilà,
la newsletter di Hacking Creativity (un podcast che amo alla follia!) ha citato un workshop riservato alla community che aveva come tema la costruzione del second brain. Vedere il mio nome accostato a quello di Gabriella Greison è stato ovviamente super figo!
Oggi invece parleremo di arte e genio collettivo, e di come questo abbia cambiato il nostro mondo.
Pronti? Vamos
Siamo intorno al 1860 a Parigi, un gruppo di ragazzi si ritrova abitualmente in un caffè, il Caffè Guerbois.
Erano ragazzi squattrinati, che stavano cercando di farsi strada nel mondo dell'arte parigino.
C'era il loro capo Eduard, sulla trentina.. vestiva alla moda e seduceva tutti con il suo humor.
Poi c'era Edgar, spirito focoso, lingua tagliente, fra i pochi a tenere testa al capo Eduard.
Poi c'era Paul, alto e burbero, senza una lira, i pantaloni sorretti da uno spago.
E anche Claude, che non si lavava da 8 giorni, egocentrico, figlio di un droghiere, quello che aveva studiato meno dei compagni. Poi c'era il più monello di tutti, Pierre-Auguste, il più giovane.
Da ultimo la bussola morale del gruppo, Camille, politico e astioso.
La loro situazione finanziaria era tutt'altro che rosea, Claude era completamente sprovvisto di mezzi, tanto che il suo amico Claude-Auguste ogni tanto gli portava pane e provviste per non farlo morire di fame. Non avevano manco soldi per i francobolli per le lettere.
Si ritrovavano in questo caffè tutti i giorni, cercando di capire come far conoscere al mondo la loro arte. Bevevano, mangiavano insieme, discutevano di politica, letteratura e più precisamente delle loro carriere.
Il Salon
Il Salon era la più grande fiera d'arte d'Europa, conosciuta al mondo intero, come la nostra Biennale di Venezia. Chi riusciva ad entrare poteva mostrare le sue opere a milioni di visitatori che si accalcavano nelle stanze di questa mostra. I dipinti migliori erano premiati con le medaglie, i vincitori venivano celebrati per decenni. Ma la selezione per entrare era durissima, e infatti i nostri amici venivano rifiutati ogni anno.
Non c'era nessun mercante d'arte che fosse interessato a loro, nessuno. Però avevano una grande forza che gli altri artisti loro contemporanei non avevano, erano un gruppo unito e coeso. E ogni singolo giorno discutevano fra loro su come innovare continuamente la loro pittura.
Perché venivano rifiutati?
Erano veramente poco tradizionali, non dipingevano i soliti soggetti, con gesta di re, imperatori, cavalieri, battaglie, chiese o monumenti come era solito fare a quell'epoca. No, loro avevano un'idea completamente diversa, dipingevano momenti di vita quotidiana, colazioni di gruppo, lezioni di danza, pomeriggi di svago in riva ad un fiume. Raffiguravano prostitute, paesaggi, ninfee..
Un'altro motivo di scandalo erano le loro pennellate, che ritraevano figure indistinte e paesaggi completamente sfuocati.
Non si limitavano a rappresentare oggettivamente la realtà come i loro contemporanei ma solo ciò che l'artista poteva vedere, ecco perché le immagini sono spesso fuori fuoco.
Inoltre erano estremamente facili da capire.
Non c'era bisogno di uno storico dell'arte per comprendere un loro quadro, nessuna simbologia, santi o figure mitologiche, risultando immediati e comprensibili a tutti
L'origine del loro soprannome
Ah sì, non ve l'avevo detto questa comunità di pittore veniva chiamata con un termine dispregiativo: gli impressionisti.
L'origine del termine proveniva da un quadro di Monet chiamato impressione del sole che sorge e fu inizialmente adoperato in forma spregiativa, per indicare che erano poco accurati. "La carta da parati a cui è appoggiato il dipinto è più precisa e accurata" diceva il critico Leroy
Il nome passò poi a identificare quel gruppo di artisti che avevano fatto dell’impressione, della rappresentazione di un preciso momento, fugace e rapido sulla tela, una delle chiavi della loro arte.
Volevano cambiare il mondo della pittura, insieme
Non venivano capiti ma il loro intento era ben preciso, volevano cambiare il mondo della pittura, rivoluzionarlo da capo a piedi.
Dipingevano tutto il giorno, si influenzavano a vicenda, confrontavano le loro tecniche, si dipingevano l'un l'altro. Si dice che Pierre-Auguste Renoir abbia fatto quasi 15 ritratti di Claude Monet.
Continuando a cercare la loro identità e la loro libertà creativa, non ci volle molto prima che il mondo cominciasse ad accorgersi di loro.
L'exposition
Siccome non trovarono spazio nel Salon, decisero di affittare un appartamento e farsi una mostra tutta loro che si tenne il 15 aprile 1874. Forti delle convinzioni del proprio gruppo, esposero i loro quadri per un mese e fecero pagare il biglietto di ingresso: un franco.
A pensarci adesso fa abbastanza ridere, perché quelle sale ospitarano in tutto 165 opere, tra cui tre Cezanne, dieci Degas, nove Monet, cinque Pissarro, sei Renoir...
Se oggi si tentasse di comprare i dipinti esposti in quelle stanze non basterebbero un miliardo di euro.
Non esiste nella storia dell'arte moderna una mostra che sia stata più importante e più famosa del Exposition del 1874.
Ma perché ci interessa così tanto questa storia? Per tre ragioni fondamentali
Insieme sono arrivati più lontano
Da soli non riuscivano a farsi notare al salone, troppo diversi, infatti venivano ogni volta respinti. Allora crearono il loro spazio, il loro posto dove mettersi in vetrina.
Sono riusciti insieme dove non potevano arrivare singolarmente
E' vero che da soli si va più veloce, ma se vuoi andare lontano, un gruppo di persone che hanno i tuoi stessi obiettivi può aiutare.
Insieme hanno innovato di più
Da soli non avrebbero potuto innovare così tanto, troppo avanti, troppo in rottura con il mondo precedente.
Ma insieme aiutandosi l'un l'altro miglioravano l'arte a vicenda, contaminando le loro idee con quelle degli altri, sono riusciti a spingersi oltre e ribaltare completamente il mondo dell'arte.
Provavano insieme nuove prospettive, soggetti alternativi e un uso della luce rivoluzionario.
Nonostante le differenze tra i vari artisti e le loro tecniche, i membri del gruppo erano aperti all'ascolto reciproco e alla sperimentazione, il che ha portato a una grande varietà di stili e tecniche pittoriche.
Di Manet si disse che era l'uomo che ha rimesso in discussione l'arte intera, infatti l'Olympia uno dei suoi quadri più famosi ha uno stile completamente di rottura, ritraendo una prostituta suscitò un grande dibattito in occasione della sua esposizione.
Tutto nasce da una comunità
La cosa che mi ha colpito maggiormente di questa storia, è che ho sempre pensato a questi artisti come geni solitari, chiusi nel loro studio erano riusciti a creare opere geniali grazie ad un'illuminazione, ad un loro talento innato, e invece non è stato così.
Studiando bene le loro storie, si comprende bene come la loro arte e la loro innovazione sia arrivata ai giorni nostri grazie ad un genio collettivo, ad una community di pittori alternativa e irriverente.
E' vero, sono diventati grandi perché ognuno di loro è riuscito a prendere la propria strada e scoprire la propria unicità, ma tutto è nato da unica matrice, da un dirompente sogno condiviso.
Si può dire che gli impressionisti sono diventati famosi, grandi e osannati (i loro quadri valgono migliori e sono esporti nei più importanti musei del mondo) proprio grazie a questa comunità, ad una "culla" che durante gli esordi ha protetto e rafforzato il loro genio, per consegnarlo infine all'immortalità.
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Greg Isenberg è veramente un grandissimo nel campo dei prodotti innovativi e community.
Nel suo ultimo podcast ha intervistato uno dei miei miti, David Spinks. Insieme hanno parlato di come sia doveroso prendersi una pausa ogni tanto, come l'AI può migliorare i lavoro del community manager e tanto altro. Qui c'è il link su spotify
When less is more
Quando l'engagement si abbassa vedo alcuni community manager cadere nella trappola che "molto è meglio". Si mettono a riempire la propria community di quiz, articoli e continui input, ma tutto questo alla fine può diventare controproducente. Madeleine consiglia una cosa diversa, fermarsi e cercare di capire perché la community non sta rispondendo ai bisogni delle persone.
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